La rivoluzione Native Advertising nella pubblicità online.
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Il mondo del web è in costante trasformazione, le innovazioni sono continue e per chi si occupa di web marketing è un obbligo approfondire le nuove strade che si aprono nella comunicazione online.
Il Native Advertising è la più recente, e forse rivoluzionaria, innovazione che investe il web e in modo particolare il settore della pubblicità on line. Utilizzo il termine recente in modo improprio, perché è già qualche anno che il Native Advertising è parte integrante del web, lo utilizziamo già in tanti, ma senza esserne consapevoli.
Come ogni innovazione anche il Native dovrà essere “digerito” dagli addetti ai lavori. L’innovazione è sostanziale e prefigura sviluppi interessantissimi in ogni comparto dalla pubblicità online. Lo sviluppo del Native Advertising in Italia è ancora agli inizi, ma c’è da scommettere che nei prossimi anni, le strategie basate su contenuti Native faranno la parte del leone nel settore Advertising.
Sull’argomento ha scritto un ottimo libro Claudio Vaccaro, edito da Hoepli. Ho avuto modo di sentire un intervento di Claudio a Milano e successivamente mi sono appassionato nella lettura del suo nuovo libro “Native Advertising. La nuova pubblicità.” che affronta in modo completo il tema del Native dal punto di vista di tutti i player in campo, dai publisher agli utenti.
Cos’è il Native Advertising.
Per dare una definizione di Native Advertising, possiamo dire che sono pubblicità Native quei contenuti a pagamento che si inseriscono all’interno di un sito web o di un social media, non generando effetti di interruzione nell’esperienza utente. Assumono, quindi, le caratteristiche specifiche del media su cui vengono pubblicate. Aspetti grafici, spazi e linguaggio vengono adattati al sito web, al blog o al social su cui si pubblica, cercando di creare un effetto di piena continuità della user experience.
Un esempio di Native Advertising sono le campagne in-feed di Facebook. Ne vediamo in continuazione nella nostra timeline. Infatti sono Native advertising i post sponsorizzati che compaiono ad intervalli regolari nel social blu.
Facebook, è stato tra i primi a dare grandissimo impulso al Native Advertising. Gli advertiser che comprano spazi sul canale di Zuckerberg non hanno maggiore visibilità rispetto agli altri utenti, non godono di sottolineature grafiche, ma i loro contenuti sponsorizzati si inseriscono naturalmente, come un qualsiasi contenuto all’interno del feed.
A favore della trasparenza e di una corretta gestione della relazione tra editore, brand e utente, questi contenuti sono segnalati come sponsorizzati.
Di fatto questo tipo di advertising si configura come un vero e proprio contenuto. Sono annunci estremamente discreti che cercano di catturare l’attenzione degli utenti con un approccio quasi paritario. Non urlano, non occupano più spazio, non vendono come piazzisti in fiera.
Tutto si base su un’attenta costruzione dei contenuti. Lo scopo principale è generare un interesse reale che viene convogliato verso landing pages specifiche. Queste pagine di atterraggio hanno poi il compito di sviluppare ulteriori livelli di conversione. Anche le call to action con i relativi pulsanti seguono schemi rigidi, uguali per tutti gli advertiser e gli utenti.
La lenta agonia del Display Advertising.
Il successo del Native Advertising è strettamente legato al declino del Display Advertising. La pubblicità Display è quella che si presenta sotto forma di banner, pop up o altre forme invasive di comunicazione pubblicitaria, che stanno perdendo ogni criterio di efficacia. Sopratutto a seguito dell’esplosione della navigazione mobile, il display advertising sta mostrando limiti evidenti. I problemi sono diversi.
Gli utenti guardano sempre meno le aree periferiche dei siti web, destinate ai banner pubblicitari. Oltre la metà dei banner pubblicitari non viene vista dagli utenti. Questo riduce drasticamente la viewability.
Forme più invasive come i pop up, che tanto successo hanno avuto in passato, vengono percepiti con estremo fastidio e spesso creano un danno agli stessi siti dei publisher che li utilizzano, aumentando drasticamente le percentuali di bounce rate, il rimbalzo. Quindi sia dal punto di vista dell’attenzione che dell’engagement il display non garantisce più livelli di ROI accettabili.Lo stesso si verifica in termini di CTR, click through rate e interazioni.
A queste problematiche se ne aggiungono di nuove. Una di quelle più rilevanti per gli advertiser è la brand safety. Il problema si pone a causa delle automazioni.
Per intenderci possiamo ipotizzare il caso della pubblicità di una marca di automobili pubblicata su una pagina dove si parla di un grave incidente stradale. L’automazione fa si che la pubblicità venga presentata su pagine coerenti per argomento. In un articolo su un grave incidente stradale si parla di auto e quindi il sistema di automazione pubblica il banner della casa automobilistica. L’effetto però è devastante dal punto di vista dell’immagine. Il cortocircuito è dato dall’associazione di un brand automobilistico con un grave incidente stradale. Questo è solo un esempio. Ma questo tipo di problematica è al momento al centro dell’attenzione di aziende, agenzie pubblicitarie ed editori. Si stanno sviluppando tecnologie che impediscano questo tipo di cortocircuito, ma il problema al momento c’è e la casistica è molto ampia.
Un altro serissimo problema del display advertising è l’AD Fraud. Le frodi sui click sono un fenomeno molto esteso e di difficile controllo. Click involontari, click generati da bot che simulano comportamenti umani, vere e proprie frodi che generano falsi click, riducono drasticamente il ROI delle campagne display e questo è ormai chiaro a tutto il mercato, che quindi si sta orientando verso il Native Advertising, in grado di offrire performance estremamente migliori in termini di ritorno sull’investimento.
Adblock rappresenta un altro ostacolo all’efficacia del Display Advertising. I computer che utilizzano programmi per il blocco della pubblicità, sono in crescita esponenziale. Questo limita molte possibilità di utilizzo dei prodotti Display, che sempre più spesso sono bloccati da programmi specifici.
Il mercato del Native Advertising.
Come suggerito da Vaccaro, possiamo suddividere il mercato del Native AD in tre macro-categorie in base ai player.
- I Publisher che propongo prodotti Native o contenuti sponsorizzati, realizzati direttamente dal brand o in collaborazione con l’editore.
- I Social Network che offrono prodotti pubblicitari nativi utili ad amplificare la diffusione di contenuti branded.
- I Technology Vendor che offrono soluzioni tecniche di vario tipo per connettere domanda e offerta tra publisher ed advertiser, anche con il supporto del programmatic buying e del real time bidding, altre due aree di sviluppo del web marketing che vale la pena approfondire.
Da questo punto di vista se i social media hanno sviluppato per primi prodotti Native, il panorama dei publisher è meno omogeneo. L’area più in fermento però, è di fatto quella dei Technology Vendor che stanno sviluppando nuovi strumenti per mettere in connessione editori e advertiser su nuovi prodotti Native.
I formati standard del Native.
Lo IAB ha fatto un grande lavoro per definire dei formati standard per il Native Advertising, con lo scopo di mettere ordine nel nuovo mercato in grande crescita. Il lavoro dello IAB ha dato come esito una prima categorizzazione dei diversi formati Native.
- In-Feed Units – contenuti Native che, come nel caso di Facebook, si integrano nel feed.
- Paid search Units – il primo vero contenuto Native, sono un esempio i contenuti sponsorizzati nelle serp di Google e degli altri motori di ricerca. Adwords è stato di fatto il primo passo verso il Native Advertising.
- Recommendation Widgets – i classici box che incontriamo a fine articolo con la dicitura ” ti potrebbe interessare anche”. Sono disponibili diverse piattaforme sul mercato che offrono questo tipo di prodotti.
- Promoted Listings – classico strumento degli e-commerce, molto utilizzati in strategie cross-selling e non solo.
- In-AD with Native Element unit – Potremmo definire una pubblicità doppia, è il classico banner, quindi esterno al contesto editoriale, ma che promuove un contenuto native, interno allo stesso sito web.
- Custom – è tutto quello che sfugge alle logiche precedenti. Di sicuro il comparto più creativo del Native Advertising. Mantiene la logica di fondo di mantenere una stratta relazione con il contesto in cui viene pubblicato. L’esempio più immediato può essere quello delle playlist sponsorizzate su Spotify.
Native Advertising e analisi dei risultati.
Questa nuova frontiera della pubblicità on line sta creando non poche turbolenze anche nell’ambito dell’analisi dei risultati. Approcci innovativi nella relazione con l’utente, richiedono inevitabilmente nuove valutazioni dei risultati ottenuti. I click non sono ormai più un parametro attendibile per misurare il successo di una campagna pubblicitaria. Engagement, attenzione, condivisione sono parametri che rendono meglio l’efficacia del Native Advertising.
La complessità del Customer Journey con rimbalzi frequenti dell’utente da una piattaforma all’altra, i passaggi tra reale e virtuale, impongono l’acquisizione di grandi moli di dati e analisi approfondite e complesse dei comportamenti. Per i grandi player del mercato, lo sviluppo dei Big Data sta aprendo scenari fantascientifici. Tuttavia l’accesso a questo tipo di programmi di analisi resta pensabile soltanto per grandissime aziende, con imponenti budget pubblicitari.
Guidelines del Native Advertising.
Premesso che l’argomento è complesso e che è impensabile in poche righe definire tutti i parametri che rendono efficace il Native Advertising, proviamo a tracciare le linee essenziali che definiscono questa tipologia di ads.
- Rilevanza – Un annuncio sponsorizzato ottiene il massimo dell’efficacia se è inserito all’interno di un contenitore coerente. Questo determina un maggiore interesse degli utenti per l’annuncio. Il contenuto offerto dall’advertiser deve essere appunto, rilevante per gli utenti al punto da spingerli ad interagire.
- Posizione – Particolarmente rilevante per le versioni mobile, che oggi rappresentano oltre la metà dell’utenza di internet. Gli annunci devono essere facilmente individuabili e posizionati in alto nel feed per garantire la necessaria viewability. Nel caso del mobile che si avvale della funzione scroll per la visione dei contenuti, gli annunci devono essere visibili dopo il primo scroll ed intervallarsi a contenuti degli utenti.
- Forma – Abbiamo già detto in apertura che una delle caratteristiche specifiche del Native è l’omogeneità con l’ambiente in cui viene proposto. Dimensione dei caratteri, lunghezza dei testi, colori, formato delle immagini o dei video, devono seguire il normale funzionamento dell’ambiente in cui sono inseriti gli annunci.
- Funzione – Lo stesso discorso si applica anche al comportamento degli annunci, che devono mantenere lo stesso funzionamento degli altri contenuti. Ad esempio funzioni come tap del dito per il mobile o click per i desktop su un video devono rispecchiare il funzionamento dei post degli altri utenti.
- Persistenza – Gli annunci Display vengono normalmente aggiornati ogni 30/60 secondi, quindi con un turnover molto alto. Gli annunci Native sono basati su contenuti e necessitano un maggior livello di attenzione. Pertanto devono aver una maggiore permanenza. L’utente che scorre il feed deve poter ritrovare l’annuncio tornando indietro. Il Native Advertising si configura come contenuto del feed a tutti gli effetti, quindi anche la permanenza all’interno della timeline deve essere rispettata.
- Trasparenza – Il Native Advertising non si configura come un sotterfugio per ingannare l’utente. È un contenuto sponsorizzato o pubblicitario a tutti gli effetti. Risponde a regole di marketing e si inquadra all’interno della strategia di comunicazione aziendale. È interesse dell’editore, ma anche del brand marcare come sponsorizzato il proprio annuncio Native. Una relazione trasparente con gli utenti è importantissima. Dalle analisi si evidenzia che i contenuti a pagamento segnalati riscuotono un maggiore engagement e una maggiore approvazione da parte degli utenti. È essenzialmente compito del brand assicurarsi che non ci siano equivoci nella propria comunicazione pubblicitaria.
PMI e Native Advertising: come affrontare il nuovo scenario.
Dal punto di vista delle PMI è evidente che le prospettive offerte da queste nuove forme di web marketing sono di assoluto interesse. L’offerta sul mercato al momento per le piccole e medie imprese si concentra essenzialmente nell’ambito dei Social Media, Facebook, Twitter, Instagram.
Per programmare al meglio questo tipo di attività bisogna comprendere che la realizzazione di contenuti di valore richiede budget superiori a quelli destinati alla realizzazione di un semplice banner.
L’investimento è di tipo diverso. Non si giocano tutte le fiches nell’acquisto di spazi come nel caso del Display Advertising. Creare contenuti coinvolgenti per gli utenti richiede progettazione, idee, tempo, professionisti e investimenti. Il ritorno in compenso può essere decisamente più alto.
Un’altra area di intervento per le PMI con budget più importanti è senz’altro Google con le suoi paid search unit. Adwords è già ampiamente utilizzata anche tra le piccole imprese, anche se non sempre nel modo migliore. L’impatto in termini di engagement è senz’altro minore rispetto a contenuti Native Advertising in-feed ben realizzati.
Previsioni del WEB.
È molto probabile che il mercato del Native Advertising nei prossimi anni acquisisca sempre più rilevanza. L’efficacia di questi nuovi prodotti pubblicitari è dimostrata da tutte le analisi. Questo non significa che il Display Advertising scomparirà, ma un utilizzo integrato dei diversi strumenti, garantirà le migliori performance a chi saprà creare il giusto mix.
Il mercato digitale sta cambiando adattandosi agli utenti che giorno dopo giorno, modificano a loro volta i propri comportamenti e le modalità di fruizione del web e della realtà. Comportamenti nuovi richiedono modalità nuove di promuovere aziende e prodotti.
Ancora una volta è il valore dei contenuti che si offre agli utenti a determinare il successo di una strategia di comunicazione e dell’impresa che vi è dietro. La creazione di un dialogo costante con gli utenti, inserendosi in modo coerente in ogni ambiente del web è ormai una necessità anche per le piccole imprese. Richiede investimenti, richiede lavoro, richiede nuove figure professionali preparate, ma in cambio offre opportunità di crescita a chi le sa cogliere.
Approfondimenti.
Come già detto un ottimo testo per approfondire la conoscenza del Native Advertising è il libro di Claudio Vaccaro, “Native Advertising. La nuova pubblicità” che ho cercato di non spoilerare eccessivamente. Grafici, analisi e tabelle abbondano nel libro a garantire un valido supporto alle argomentazioni trattate. Ve ne consiglio assolutamente la lettura. Buona lettura.
Come sempre, Buona Visione.
Cars 2 – regia di John Lasseter – Brad Lewis – 2011
Riccardo dice
Grande, chiaro e puntuale!
“Tuttavia l’accesso a questo tipo di programmi di analisi resta pensabile soltanto per grandissime aziende, con imponenti budget pubblicitari”
Invece devo dire che si stanno aprendo delle possibilità anche per player più piccoli, ad esempio hanno lanciato questa piattaforma proprio allo IAB di quest’anno che si chiama revenee.io che permette anche a chi ha un blog medio o comunque senza milioni di follower di ospitare native advertising e guadagnarci anche qualcosa, mentre se fai campagne non c’è un budget richiesto.
Io spero il native si imponga come trend, con i dovuti accorgimenti come in questa realtà nuova puo’ portare vantaggi a entrambi i player presenti.
Eduardo Grimaldi dice
Grazie del commento Riccardo,
il mercato del Native è in continua evoluzione e penso che ci saranno sempre più strumenti disponibili anche per le piccole testate e i blogger.
Credo che in poco tempo sarà la vera alternativa ad ADWords.